La turbo-era in Formula 1: quando la potenza era (quasi) tutto

motor room
8 min readApr 22, 2020

--

Quando si pensa agli anni ’80, la mente corre subito, con un pizzico di piacevole nostalgia, ai ricordi legati alle grandi saghe cinematografiche, come Indiana Jones o Ritorno al Futuro, ma anche a film cult come E.T. e i Goonies. Per non parlare poi, in ambito musicale, dei gruppi synthpop che letteralmente spopolavano in quegli anni, come gli Alphaville, i Duran Duran, i Depeche Mode o gli Eurithmics, tanto per citarne alcuni. Come dimenticare inoltre l’avvento dei primi home pc come il Commodore 64 e delle prime console di gioco come la mitica Atari 2600!?

In realtà gli anni ’80 oltre che essere anni “futuribili”, spassosi e spensierati, furono anche anni di grandi sperimentazioni tecniche, soprattutto in campo motoristico e ancor di più nell’ambito del Motorsport. In Formula 1, in particolare, gli anni ’80 sono ricordati come la “Turbo-Era” in virtù del massiccio impiego della sovralimentazione nei motori delle monoposto da corsa. Per onestà intellettuale, va in realtà precisato che, l’origine dell’impiego del turbo sulle monoposto, affonda le sue radici negli anni ’70. Fu infatti verso la metà degli anni ’70 , che un ingegnere francese, Bernard Dudot, di stanza alla Renault, iniziò ad ipotizzare che l’impiego della sovralimentazione all’interno dei motori da corsa, non solo in Formula 1, ma anche nella Formula 2 e nel Rally, avrebbe consentito il raggiungimento di potenze fino a quel momento impensabili. I tempi tuttavia non erano ancora maturi, ci volle ancora qualche anno di studio e di sperimentazione (si dice addirittura che Dudot fu inviato negli Stati Uniti ad approfondire gli studi sull’utilizzo del turbo nei motori da corsa), prima che la svolta tecnica potesse realmente verificarsi e potesse realmente vedere la luce la prima vettura di Formula 1 con motore sovralimentato. Fu infatti nella primavera del 1977 che, in pompa magna a Parigi, venne finalmente svelata al pubblico la Renault RS01, prima vettura nella storia della Formula 1 ad essere dotata di un motore turbocompresso. Nello specifico l’unità propulsiva della RS01, era un 6 cilindri a V di 90° di 1.492 cm3, dotato di 2 turbocompressori Garrett (uno per bancata) con pressione di sovralimentazione di 1,8 bar, testa in lega leggera e 4 valvole per cilindro comandate da doppi alberi a camme. Così concepito, il propulsore sviluppava si una potenza notevole per l’epoca, circa 500 cv a 11.000 giri/min (maggiore di quella dei contemporanei motori aspirati che non superavano i 450/480 cv), ma risultava tuttavia impegnativo nella guida a causa del notevole turbo-lag che rendeva l’erogazione eccessivamente brusca nei tratti guidati dei tracciati.

Il propulsore dell RS01

Inoltre sin dal debutto, che avvenne al gran premio di Silverstone del 1977, la vettura francese si rivelò purtroppo scarsamente competitiva a causa di evidenti problemi di affidabilità. Già nella prima gara infatti il propulsore cedette di schianto con una gran fumata bianca, cosa che valse alla monoposto francese il nomignolo di “teiera gialla”. Non andò meglio nella restante parte del campionato e nemmeno nel 1978, quando l’unico risultato a punti fu un quarto posto nel Gp degli Usa a Watkins Glen. Tuttavia durante l’inverno tra il 1978 e il 1979 i tecnici francesi lavorano sodo per risolvere i cronici problemi di affidabilità del motore: furono sostituiti i turbocompressori Garrett con dei KKK che assicuravano una netta riduzione del Turbolag, vennero inoltre realizzate nuove camicie dei cilindri e si lavorò molto anche sull’aerodinamica della vettura. Ne venne fuori una monoposto ad effetto suolo, più potente e molto più competitiva di quella delle due stagioni precedenti. Infatti, già al gran premio del Sud Africa, arrivò la prima pole position, ma fu al gran premio di Francia del luglio 1979 che la Renault Turbo conquistò la prima vittoria in F1 con Jean-Pierre Jabouille primo, davanti a Gilles Villeneuve secondo e a Renè Arnoux terzo (anch’esso su Renault) dopo un entusiasmante duello a suon di sorpassi e controsorpassi con lo stesso Villeneuve, entrato nella storia come “Duello di Digione”.

Il leggendario “Duello di Digione”

Non ci volle molto prima che anche gli altri Team si rendessero conto delle potenzialità della sovralimentazione. A partire dalla stessa Ferrari che già dal 1980 intraprese lo sviluppo di una nuova monoposto in sostituzione delle vincenti, ma ormai obsolete 312 con motore 12 cilindri aspirato. Naque così, per la stagione 1981, la 126 CK, prima monoposto del Cavallino ad essere dotata del nuovo motore 1.5 V6 turbocompresso. Tale vettura ottenne però soltanto due vittorie (grazie anche al talento di Villeneuve) a Monaco e in Spagna, stante le difficoltà che la stessa Ferrari incontrò nella messa a punto del propulsore, la cui potenza, tra l’altro, non veniva adeguatamente sfruttata dal telaio che altro non era se non una semplice evoluzione di quello della 312.

Ben altra cosa fu la vettura dell’anno successivo, la 126 C2, progettata dal tecnico inglese Harvey Postlethwaite, basata su un nuovo telaio monoscocca a nido d’ape in alluminio/carbonio e su un nuovo 1.5 V6 con un angolo di 120° tra le bancate, dotato di due turbocompressori KKK e in grado di sviluppare la potenza di 580 cv a 11.000 giri/min.

Nonostante una stagione triste e funestata da due drammatici incidenti, il primo durante il GP del Belgio in cui perse tragicamente la vita Gilles Villeneuve e il secondo durante le prove del Gp di Germania che costò all’altro pilota, Didier Pironi, delle gravi lesioni agli arti inferiori, la vettura, molto bella da un punto di vista estetico ma anche estremamente valida sotto il profilo dinamico, riusci comunque alla fine della stagione ad assicurare a Maranello il primo posto nel Mondiale Costruttori. La vittoria del mondiale piloti fu invece conquistata da Keke Rosberg su Williams FW07, ancora motorizzata con l’inossidabile Ford Cosworth DFV aspirato, ultimo propulsore atmosferico a vincere in piena epoca Turbo.

Per vedere invece una vettura sovralimentata consentire a qualcuno di vincere il mondiale piloti, si dovette attendere l’anno successivo, il 1983, quando Nelson Piquet si aggiudicò l’iride alla guida di una Brabham BT52, dotata del prodigioso motore BMW M 12/13. Tale propulsore, da molti considerato ad oggi, il motore più potente mai installato in una monoposto di F1, era un 1.500 cm3, con un’architettura piuttosto semplice rispetto ai V6 della concorrenza: si trattava infatti di 4 cilindri in linea, con basamento in lega ferro/carbonio derivato dalla produzione di serie, un unico turbocompressore KKK e un doppio albero a camme in testa. Nella sua prima versione, quella vittoriosa del 1983, sviluppava la già ragguardevole potenza di 740 cv a 11.500 giri in gara, con pressione di sovralimentazione di 3,0 bar, che potevano diventare 800 cv in qualifica, con pressione di 3,4 bar. Fu negli anni successivi tuttavia che tale motore, pur perdendo competitività, anche in virtù del fatto che spesso venne installato su vetture che non erano in grado di sfruttarlo adeguatamente, raggiunse vette di potenza rimaste ineguagliate: all’apice del suo sviluppo nel 1986, era in grado di erogare 850/880 cv in gara con pressione di 3,6 bar e arrivare all’incredibile valore di 1.300 cv in qualifica (per un solo giro) con pressione di sovralimentazione di 5,5 bar, ossia circa 900cv/litro!

Spaccato del BMW M12/13 dove si vede chiaramente l’architettura a quattro cilindri in linea

Il 1984 vide anche il ritorno in Formula 1, in qualità di fornitore di motori, di un altro marchio glorioso, la Porsche. Suoi sono i propulsori “TTPO1”, per la verità marchiati TAG Porsche, poichè fu proprio la TAG a finanziarne lo sviluppo in seno alla stessa casa di Stoccarda, che furono installatati sulla McLaren Mp4/2, vincitrice del mondiale piloti e costruttori nel 1984 e nel 1985 con Niki Lauda prima e Alain Prost poi.

Tale propulsore, piuttosto compatto, (il peso complessivo era di circa 150kg) prevedeva una classica architettura V6 con un angolo di 80° tra le bancate, due turbocompressori KKK e 4 alberi a camme in testa, ma non raggiunse mai, nonostante le specifiche, i livelli di potenza del BMW M 12/13: si dice che nel 1986, prima delle nuove regole “tagliapotenza” del 1987, il motore fosse in grado di sviluppare al massimo circa 1.100 cv in qualifica. Quindi, i motivi del successo incredibile della Mc Laren MP4/2 di quegli anni, deve piuttosto essere ricercato nella perfetta integrazione di tale motore con il telaio e l’elettronica della vettura (il propulsore venne infatti progettato appositamente per l’impiego con le sole vetture di Woking).

Spaccato di una Mc Laren Mp4/2
Il vittorioso motore Tag-Porsche TTPO1

Nonostante le limitazioni entrate in vigore nel 1987, volte a contenere le pressioni di sovralimentazione (che non potevano più superare i 4 bar nell’87 e 2,5 bar nell’88 con l’obiettivo di limitare la rincorsa sfrenata alla ricerca di potenza) e nonostante una breve parentesi proprio in quell’anno, durante il quale il mondiale fu aggiudicato da Nelson Piquet su Williams motorizzata Honda, il dominio della Mc Laren si protrasse anche nell’ultima fase degli anni ’80. Nell’88, l’arrivo di Ayrton Senna, portò in dote alla scuderia inglese i nuovi motori Honda che l’hanno precedente avevano fatto letteralmente faville sulla Williams FW11B. Il propulsore in questione, denominato Honda RA168E, risultava essere ancora V6 a 80° di 1500 cm3, dotato di basamento in ghisa e sovralimentato mediante due turbocompressori giapponesi IHI.

L’ Honda RA168E

La peculiarità di tale propulsore era nondimeno rappresentata dal rapporto corsa/alesaggio pari a 79 mm x 50,8 mm (anche se altre fonti dichiarano un rapporto pari a 82 mm x 47 mm), la più esasperata mai riscontrata in un propulsore di F1: tale soluzione tecnica era basata sulla convinzione dei tecnici nipponici capeggiati da Nobuhiko Kawamoto, secondo cui la potenza massima erogabile era direttamente connessa all’area dei pistoni. Una teoria non era del tutto vera ma a dire la verità neppure del tutto sbagliata, ma che consentì comunque l’industrializzazione di un propulsore che riusciva a coniugare il bisogno di potenza con le esigenze legate al contenimento dei consumi. Nell’ultimo anno di vita di tale motore, il 1988 appunto, la potenza erogata risultava ancora piuttosto elevata, nell’ordine dei 700 cv, ottenuti, nonostante i 2,5 bar imposti da regolamento, anche mediante un innalzamento del regime di rotazione fino all’incredibile valore di 14.000 giri/min!

Il 1988 fu l’ultimo anno dell’epopea turbo in Formula 1. Dal 1989 i nuovi regolamenti stabilirono infatti il ritorno ai motori atmosferici con cilindrata di 3.500 cm3. Bisognerà attendere il 2014 per vedere di nuovo il turbo calcare la scena nella massima serie automobilistica. Le nuove norme entrate in vigore quell’anno imposero infatti l’adozione di nuove “power unit” composte da un’unità endotermica sovralimentata di 1.600 cm3 V6 e da un motogeneratore elettrico: quasi un omaggio delle nuove tecnologie ai mostri sacri di quel glorioso passato.

Matteo Corti

--

--

motor room
motor room

Written by motor room

Riflessioni, curiosità e approfondimenti sul mondo delle automobili di ieri e di oggi

No responses yet